La vita di alcune persone affette da diabete  è legata a doppio filo con un ormone: l’insulina. Se questa non è disponibile quanto e quando serve, il diabetico non rischia un raffreddore, ma complicanze gravi (la chetoacidosi, il coma e anche la morte). In Italia questo farmaco salvavita è distribuito a tutti i pazienti diabetici che ne hanno bisogno, a prescindere dall’estrazione sociale o dalle possibilità economiche. Questo grazie al decreto del Ministero della Salute dell'8/2/1982, alla legge 115/87 e a un Sistema Sanitario Nazionale che, seppure a volte con le lungaggini burocratiche tipiche del nostro Paese, offre un’assistenza completa al paziente diabetico (presidi diagnostici e terapeutici). 

Nascere o diventare diabetico in Italia, insomma, è meglio che in un altro Paese, perché questa patologia può essere molto cara, tanto da costare la vita a chi non ha i soldi per permettersi l’insulina.

Secondo uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association, negli Stati Uniti un paziente diabetico su quattro ammette di ridursi l’insulina perché troppo costosa, con gravi rischi per la salute: dal 2012 al 2016 negli States il costo annuale per l’insulina è raddoppiato, con inevitabili conseguenze in termini di decessi. Secondo la BBC nel 2016 i pazienti diabetici negli Stati Uniti spendevano una media di 360 dollari al mese, quelli indiani 112, contro i 19 dollari spesi da un diabetico italiano. Una spesa inavvicinabile per molti, per procurarsi un farmaco salvavita che rischia di diventare ad esclusivo appannaggio dei più abbienti; ma non in Italia.

Il costo dell’insulina all’estero rappresenta una delle difficoltà che possono incontrare le persone con diabete quando vanno fuori dall’Italia: ad esempio i ragazzi che per ragioni di studio trascorrono un lungo periodo in America o in alcuni paesi Europei, devono assicurarsi una fornitura di presidi e di farmaci adeguata al periodo di permanenza e questo non è sempre facile.

 

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